25 Agosto 2021

Saturday Morning Live

News
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Il Saturday Morning Live è un ciclo di incontri condotti dal Dott. Bruno Surace, volto a esplorare grazie all’intervento di ospiti d’eccezione alcune tra le tante possibili declinazioni in ambito umanistico, artistico e scientifico del tema dell’anno del Piano Formativo del Collegio 2020/21:

la Resilienza

Tutti gli appuntamenti sono inseriti all’interno della nostra offerta formativa.
Qui sotto l’elenco degli incontri già svolti, con un sunto delle tematiche emerse nel dibattito con gli studenti e studentesse.

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Lo sport in pandemia: dalla resilienza all’antifragilità con Giuseppe Vercelli
Giuseppe Vercelli è psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia dello sport e della Prestazione Umana presso l’Università degli Studi di Torino. E’ autore di pubblicazioni scientifiche e divulgative tra le quali i saggi “Vincere con la Mente”, “L’intelligenza agonistica” e recentemente “Antifragili”. Responsabile dell’Area Psicologia di Juventus F.C e dell’Area Psicologia delle Federazioni FISI e FIPAV. Ha partecipato alle Olimpiadi di Torino, Pechino, Vancouver, Londra e Pyeongchang come Psicologo ufficiale del CONI. Dirige il Centro di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana “Umbro Marcaccioli” presso l’ISEF di Torino ed è responsabile dell’area psicologica del centro clinico J Medical. Con il suo team ha sviluppato e divulgato il modello SFERA per l’ottimizzazione della prestazione e l’AFQ, l’Anti-fragile Questionnaire.

Il concetto di “antifragilità” è stato sviluppato da Nassim Nicholas Taleb, nell’eclettico volume Antifragile. Prosperare nel disordine (pubblicato in Italia da Il Saggiatore). Questo concetto mira a identificare una sorta di tassello ulteriore rispetto alla resilienza. La resilienza sarebbe dunque una fase intermedia, in cui chi la applica, una volta subito lo “scossone”, ritorna al punto di partenza. L’antifragilità invece è definita come una risposta evolutiva, per cui di fronte all’ostacolo o al fallimento non soltanto ci si rialza, ma anche si migliora, rinforzandosi. 
 
Il lavoro di Vercelli muove nella direzione aperta da Taleb, sviluppando il concetto di antifragilità – originariamente applicato non soltanto agli individui ma anche ai sistemi economici e culturali – nel campo specifico della psicologia della prestazione umana. Ne risulta così una sorta di metodologia dell’antifragilità, particolarmente utile quando si tratti di situazioni in cui è richiesta una certa prestazione: sport, lavoro, studio, e così via. E tuttavia il concetto di antifragilità si estende in campo psicologico come possibile strumento per fronteggiare in generale stati di malessere dovuti a sensi di inadeguatezza, lutti, sentimenti di inferiorità.
 
L’incontro ha dunque esplorato questo concetto, in una prima fase mediante un workshop impartito dallo stesso Vercelli, e in una seconda grazie a una discussione partecipata in cui il concetto è stato analizzato dalla classe. In questa fase, anche per via delle specifiche sensibilità e competenze degli uditori, si è potuto non solo riflettere sull’antifragilità come tool psicologico, ma anche ragionare attorno ad essa criticamente in quanto concetto politicamente e socialmente rilevante, e quindi meritevole di essere osservato da diverse angolazioni.

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Immaginare il futuro. Speculative Design & Speculative Fabulation con Cristina Voto
Cristina Voto è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino e nella stessa casa di studi è docente di “Comunicazione VIsiva”. È inoltre docente presso l’Universidad Naiconal de Tres de Febrero, in Argentina, e curatrice della Biennale dell’Immagine in Movimento di Buenos Aires.

La contemporaneità è ossessionata nei confronti del futuro, forse come mai era successo prima nella storia umana. Il futuro è oggi un orizzonte di speranza, ma anche, più spesso, una sorta di giogo che si piega impietosamente sul presente, imponendoci una vita veloce ed estremamente mutevole sotto vari punti di vista. Il futuro è infatti anche un fenomeno linguistico, capace di cambiare il nostro modo di pensare il mondo presente e noi stessi.
All’interno di questo scenario si stagliano discipline nuove, come i future studies, ma anche diventa rilevante provare a esplorare il modo in cui i racconti di finzione, passati e presenti, hanno immaginato il futuro.
Immaginare il futuro è in effetti un’operazione complessa, che può essere addomesticata tramite specifiche tecniche e filosofie.
L’incontro è così stato dedicato da un lato a fornire all’aula gli strumenti critici per trattare l’orizzonte del futuristico e del futuribile come fenomeno complesso e bacino capace di restituirci particolari assetti identitari, economici, e culturali delle società; dall’altro invece si è fatto con le studentesse e gli studenti un piccolo laboratorio di speculative design & fabulation, mettendo alla prova la nostra capacità di immaginare il futuro uscendo da schemi predeterminati, per allargare gli orizzonti di visione e di possibilità.

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Facce e maschere: le avventure del riuso tra biologia e cultura materiale con Marco Viola
Il dottor Marco Viola ha conseguito il dottorato di ricerca in Neuroscienze Cognitive e Filosofia della Mente presso lo IUSS Pavia nel 2017, ed è attualmente ricercatore (assegnista di ricerca) presso l’Università degli Studi di Torino, dove collabora con il progetto europeo FACETS. La sua ricerca spazia tra la filosofia della scienza e le scienze cognitive, e in particolare di emozioni e percezione dei volti – temi su cui ha scritto un libro (Come funzionano le emozioni, Mulino 2018, con Fausto Caruana) e una trentina di articoli o capitoli di libri in italiano e in inglese; quello più recente, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, indaga gli effetti delle mascherine (suo nuovo oggetto di ricerca preferito!) sulla percezione dei volti.

Tutti quanti abbiamo un volto, ma non di frequente ci troviamo a riflettere sulla ricchezza di significati che esso assume per noi. Il volto è un oggetto complesso, che ci viene dato dalla biologia, ma che culturalizziamo quotidianamente.
Attraverso il volto riconosciamo gli altri. Nel volto sono racchiusi i nostri sensi.
Con il volto esprimiamo i nostri sentimenti.
Il volto rivela noi stessi, e infatti tendiamo spesso a camuffarlo per ragioni di ordine estetico, ma anche con intenzioni più complesse, di natura politica e identitaria: ci trucchiamo, ci mascheriamo, ci modifichiamo attraverso interventi di chirurgia estetica e, più recentemente, algoritmica, mediante filtri e app di ogni genere e sorta.
Con l’avvento della pandemia l’economia percettiva dei volti è significativamente mutata.
L’obbligo di indossare le mascherine in luoghi pubblici ha riconfigurato profondamente la condivisa percezione del volto altrui e del volto proprio. Esperimenti recenti dimostrano, ad esempio, come il volto con la mascherina rimoduli la percezione delle emozioni di chi la indossa da parte di chi osserva.
L’incontro ha esplorato questi temi, da una prospettiva duplice: da un lato si sono fornite le competenze di base per intendere il volto come un apparato biologico, modificatosi nel corso dell’evoluzione umana attraverso dinamiche di exaptation. Dall’altro si è inteso far comprendere alla classe il molteplice valore del volto in seno alle comunità sociali.

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Le lingue tagliate. La resilienza delle lingue “altre” in Italia con Ilaria Fiorentini
Linguista, è ricercatrice presso l’Università degli Studi di Pavia, dove insegna Sociolinguistica e Pragmatica e linguistica del testo. Si interessa di lingue minoritarie, italiano contemporaneo e lingue del web.

L’Italia vanta un patrimonio linguistico ricchissimo e a molti sconosciuto.
Di questo panorama fanno parte numerose lingue di minoranza, praticate in zone contenute, e a rischio di estinzione. Quando una lingua scompare, la sua perdita coincide con la dispersione di una intera eredità culturale.
Per questo motivo le lingue minoritarie necessitano di una tutela, la quale avviene tanto per vie giuridiche (attraverso norme non sempre limpidissime), quanto attraverso politiche culturali atte a mantenerle vive.
L’incontro è stato così dedicato all’esplorazione di questo tema, attraverso la lente peculiare della sociolinguistica.
Questa disciplina è stata introdotta e discussa con la classe in quanto particolare branca della linguistica che si occupa di studiare i modi attraverso i quali lingue e società si influenzano vicendevolmente. Le studentesse e gli studenti sono inoltre stati convocati attivamente a costruire la propria “autobiografia linguistica”, un primo documento che attesta la storia delle loro singole vite attraverso le lingue che hanno imparato, sentito parlare, amato e odiato.
Ne è emerso un quadro di straordinaria varietà, che apre alla possibilità di futuri approfondimenti, e che è possibile esplorare al seguente link

 

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Culture del cibo fra ieri, oggi e domani. Resilienza e alimentazione con Simona Stano
Ricercatrice (RTD-B) presso l’Università degli Studi di Torino e Visiting Research Scholar presso la New York University. Vincitrice di una Marie Curie Global Fellowship (2019-2021), si occupa di semiotica della cultura, dell’alimentazione, del corpo e della comunicazione, argomenti su cui ha presentato e diretto conferenze in ambito internazionale e pubblicato numerosi articoli, capitoli di libro, curatele e due monografie.

Cibo, alimentazione, nutrizione, mangiare, commestibilità, convivialità, sono tutte parole al centro di molti dibattiti da diverso tempo.
La cosiddetta “cibosfera” è divenuta centrale sia nei media, dove spesso è trattata in termini esclusivamente polarizzanti (“vegani vs carnivori”, ad esempio), che nel mondo dei discorsi sociali in genere, in quello letterario, cinematografico, e senz’altro anche in quello accademico.
Parlare di cibo oggi non è più soltanto occuparsi di ciò che si mangia da un punto di vista nutrizionale o biologico, ma anche interrogarsi su temi fondamentali di natura identitaria ed etica.
Oggi attraverso il cibo ci distinguiamo, personalmente e culturalmente. Questo contesto così complesso e cangiante non è stato naturalmente esente dallo scossone della pandemia, che ha rimodulato in maniera drastica tutta una serie di pratiche prima piuttosto comuni.
La convivialità, ad esempio, è stata profondamente minata, sebbene in termini resilienti si siano trovate delle forme suppletive (ad esempio gli aperitivi online, le “cene dai balconi” e così via).
Le norme igieniche si sono fatte più stringenti.
Il senso dei luoghi è mutato drasticamente, essendo i supermercati – templi postmoderni del cibo – stati per molto tempo fra i pochi esercizi commerciali dove “passare il tempo” fuori dalla propria dimora.
Attorno a questo reticolo di temi legati alla cibosfera e alla sua intrinseca resilienza si è svolto l’incontro, riassunto attraverso quattro snodi chiave nella grafica che segue.

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Capire i meme? Identità e resilienze nelle politiche della viralità con Gabriele Marino
Semiologo, lavora presso l’Università di Torino all’interno del progetto di ricerca FACETS. Si occupa di musica, comunicazione online, teoria semiotica.

I meme sono senz’altro una delle forme di comunicazione più diffuse nella società contemporanea.
Attraverso i meme, ovviamente, ridiamo, ma anche interpretiamo la realtà, acquisiamo informazioni, ci identifichiamo, scegliamo i nostri amici.
D’altro canto essi sono un oggetto misterioso: multiformi, polisemici, ambigui. Capire i meme oggi è un modo per aumentare sensibilmente la nostra capacità di orientarci nei flussi informativi in cui siamo, giocoforza, costantemente immersi.
L’incontro ha così costituito un importante momento di comune interrogazione su che cosa siano effettivamente i meme, su quale sia la loro forza, su come essi “agiscano” con noi e su di noi, e anche sui rischi dell’affidare in maniera così ampia e, a tratti incondizionata, i nostri orizzonti conoscitivi a questa specifica e cangiante modalità comunicativa, spesso descritta con la metafora un po’ ambigua della “viralità“.

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Gender (In)Equalities. Resilienza e rapporti di genere con Federica Turco
Dottoressa di ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, presso l’Università degli Studi di Torino, insegna Semiotica del gender presso lo stesso Ateneo. Ha collaborato, come ricercatrice, con diversi Centri di Ricerca dell’Università di Torino, conducendo, negli anni, studi su: le campagne di comunicazione sociale e il territorio, le strategie di comunicazione delle politiche degli enti territoriali, le pari opportunità e gli studi di genere, la comunicazione dei grandi eventi e la semiotica dello spazio, media ed opinione pubblica, il rapporto tra eventi mediali, immagine urbana e semiotica dello spazio, e ha indagato, in chiave socio-semiotica, il rapporto tra immagine femminile e televisione, proponendo un proprio modello di analisi gender oriented dell’audio-visivo. Attualmente è Responsabile della Comunicazione e della Ricerca presso il Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere dell’Università di Torino.

Le disuguaglianze di genere costituiscono un tema sempre più centrale e delicato nelle società contemporanee.
L’universo dei generi è un oggetto culturale complesso e oggi assai cangiante, cosa che dimostra un certo fermento culturale rispetto alla questione, la quale tocca molteplici sfere del vivere assieme nella società: la libertà o meno di sentirsi come si vuole e di amare chi si vuole, la sfera dei diritti, quella dei giudizi e dei pregiudizi, e così via.
L’incontro ha mirato a fornire alcuni strumenti specifici, attinti dal complesso panorama dei gender studies ma, prima ancora, inscritti metodologicamente all’interno di paradigmi sociologici, storici e semiotici, per orientarsi all’interno della questione osservandola prospetticamente. Ne è nato un sentito e fecondo dibattito, sin dall’inizio, attraverso la costruzione condivisa di una mappa mentale (nell’immagine i macrotemi che sono emersi e che sono stati toccati) che ha definito una serie di cluster semantici di rilievo, esplorati man mano nell’arco dell’incontro.
È emersa una comune percezione di estrema rilevanza del tema, che in questa occasione si è iniziato a perlustrare, ma che senz’altro meriterà ulteriori affondi.

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Economia globalizzata e soggetti fragili con Antonio Soggia e Virginia Sabbatini
Antonio Soggia lavora per IRES Piemonte (Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte), dove collabora ad alcuni progetti a titolarità regionale per l’assistenza delle persone straniere vittime di tratta e sfruttamento. Virginia Sabbatini, coordinatrice Progetto Saluzzo Migrante – Area Immigrazione della Caritas diocesana di Saluzzo, progetto che dal 2017 interviene per favorire la protezione, la promozione e l’integrazione di persone migranti che stagionalmente si recano nel Saluzzese per la raccolta agricola. Referente del Progetto Presidio di Caritas Italiana a Saluzzo, che dal 2014 sviluppa Presidi nei principali bacini bacini ortofrutticoli d’Italia allo scopo di prevenire e contrastare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura.

I flussi migratori costituiscono un fenomeno globale in aumento, con una forte incidenza sul tessuto socio-economico dei paesi che ne sono maggiormente interessati.
L’Italia è senz’altro uno di questi. Gestire un fenomeno di tale complessità significa doversi interfacciare con gruppi di persone con storie, culture, bisogni e provenienze diverse, ma eguale dignità umana.
Le conseguenze dell’incremento dei flussi migratori sono di tipo logistico e sociale, e in mancanza di risorse – siano esse economiche, di spazi abitativi, o anche solo di volontà – i risultati divengono gravi situazioni di irregolarità.
Sebbene questi fenomeni possano apparire come distaccati dalla vita di molti di noi, in realtà essi ricadono direttamente sui nostri consumi.
Dal sud al nord Italia infatti i braccianti che producono – nei campi e nei frutteti – le materie prime di cui ci cibiamo sono spesso migranti vittime di tratta, di sfruttamento, di caporalato, costretti in situazioni abitative ed esistenziali di forte precarietà.
Quando mangiamo un ortaggio di cui non conosciamo con esattezza la filiera produttiva, questo è con buona probabilità il risultato ultimo di un processo che è originato da una forma di sfruttamento. Ignorare questo dato è, in qualche misura, una forma di complicità.
L’incontro con Antonio Soggia e Virginia Sabbatini ha esplorato questo delicato tema mediante il racconto diretto dell’esperienza di chi, sia in sede istituzionale che sul campo, lavora per tentare di sanare quello che è un problema stratificato e innervato nel sistema di un’economia globalizzata. Il dibattito si è così animato, a partire da un cluster semantico costruito collaborativamente come prima forma di brainstorming. Si è trattato di un esercizio libero, di iniziale esplorazione del tema, e il risultato (che vedete) è stato poi riordinato durante l’incontro mediante una progressiva categorizzazione delle problematiche implicate dal fenomeno, da quelle logistico-gestionali, a quelle politiche e mediali.

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La resilienza del viaggiatore. Esplorare l’immobilità con Massimo Leone
Massimo Leone è Professore Ordinario di Filosofia della Comunicazione, Semiotica della Cultura e Semiotica dell’Immagine presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, Vice-Direttore per la Ricerca presso lo stesso Dipartimento, e Professore Ordinario a tempo parziale di semiotica presso il Dipartimento di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università di Shanghai, Cina. È stato ricercatore invitato presso il CNRS di Paris e il CSIC di Madrid, professore “Fulbright” presso il Graduate Theological Union di Berkeley, professore “Endeavour Research Award” nella Monash University di Melbourne, professore “Faculty Research Grant” presso l’Università di Toronto, professore invitato “Mairie de Paris” presso la Sorbona e professore invitato presso l’École Normale Supérieure di Lione (Collegium de Lyon), il Center for Advanced Studies dell’Università “Ludwig Maximilian” di Monaco di Baviera, presso l’Università di Kyoto, presso l’Institute of Advanced Study dell’Università di Durham, UK e presso l’IFK di Vienna, l’Università di Shanghai e il Käte Hamburger Kolleg Dynamics in the History of Religions between Asia and Europe di Bochum, l’Internationales Forschungszentrum Kulturwissenschaften di Vienna, il Centre for Advanced Studies, South Eastern Europe (Croatia), il Polish Institute of Advanced Studies di Varsavia (PIAST), il Freiburg Institute of Advanced Studies di Friburgo, Germania, il Paris Seine Institute of Advanced Studies, e il Centro di Studi Avanzati dell’Università di Cambridge.

Nei momenti di clausura forzata essere resilienti vuol dire anche compiere operazioni cognitive complesse, come quella di risemantizzare il luogo in cui si è costretti illuminandolo di una luce diversa. Può così nascere una forma di letteratura sui generis, non più “odeporica” (cioè di viaggio) ma “anodeporica”, in cui il viaggio è mentale.
Diversi autori – li vedete nell’immagine – si sono succeduti dandoci esempi di questi viaggi interiori, e fornendoci delle vie per riconsiderare la nostra esperienza domestica. L’esplorazione dei loro racconti ha costituito il punto di partenza dell’incontro, per poi volgere lo sguardo al presente.
Molte altre strategie di “viaggi attorno alle nostre camere” si sono infatti sperimentate e si vanno sperimentando in questi mesi, tanto nate spontaneamente quanto frutto di metodologie originariamente applicate in altri campi e divenute utili per reggere il peso del lockdown (come abbiamo già visto nell’incontro dedicato alla gamification, ad esempio). In un contesto di crisi sistemica i “viaggi attorno alle nostre stanze” assumono così le dimensioni più svariate, dalla riscoperta di passioni dimenticate come il collezionismo al binge watching in quanto pratica di evasione dall’ordinario. Attorno a queste nuove pratiche, transitorie ma essenziali proprio per la loro matrice resiliente, si sviluppano anche nuovi mercati, relazioni, possibilità.
L’immagine rende conto in maniera visiva di alcuni degli elementi che sono entrati nel dibattito.

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Technology and Resilience: reconfiguring practices of collective existence con Everardo Reyes
Everardo Reyes is an Associate Professor in the Information Sciences Department at the Université Paris 8 Vincennes-Saint-Denis, research member of the Paragraphe Lab, co-director of the master’s in Digital Humanities, and Vice-President for Digital Matters in Research & Education at Université Paris 8. His research combines theories and methods grounded on visual semiotics, cultural analytics, and relationships between Art, Science, and Technology. As a research fellow at Campus Condorcet, he conducts projects on visualization of visual data using hypermedia technologies on the web. He has authored, edited, and translated several books on digital culture. He has also organized different conferences and exhibitions about digital media art. In 2019, he served as Art Papers chair for the ACM SIGGRAPH conference and edited the special issue in Leonardo, the journal of the international society for the arts, sciences, and technology (published by MIT Press).

Lo scenario pandemico ha ridefinito il nostro rapporto con le nuove tecnologie.
Queste, dal canto loro, non smettono di evolversi.
Ogni giorno emergono nuovi tool, che rendono effettuabili operazioni tecnicamente sempre più complesse in maniera sempre più semplice, anche da utenze poco alfabetizzate da un punto di vista informatico. Un esempio fra tutti: la videoconferenza. Quella che prima era un’operazione riservata a una nicchia di utenti specializzati è oggi una pratica sempre più diffusa, come risposta resiliente alle misure di distanziamento fisico.
Comprendere questo contesto inedito significa maturare competenze ibride, come quelle delle Digital Humanities, alle quali gli studenti sono stati introdotti durante l’incontro.
Si tratta di un nuovo modo di approcciarsi al mondo, che coniuga capacità tecniche specifiche a uno sguardo trasversale, attento alle dinamiche sociali e culturali che si intrecciano con l’utilizzo dei nuovi strumenti.
Il panorama di riferimento è quello dell’innovazione sociale, che passa anche attraverso l’appropriazione creativa e consapevole degli strumenti oggi alla portata di tutti, fondati su tecnologie complesse che vanno dalle reti generative avversarie (GAN) alle librerie TensorFlow.
L’incontro si è svolto in maniera partecipativa, non solo fornendo alla classe alcuni dei punti di partenza per collocarsi agevolmente nel nuovo crocevia aperto dal fecondo incontro fra materie tecniche e discipline umanistiche, ma anche sperimentando collegialmente alcuni tool online nel merito (Cloud Vision di Google, ai-writer.com, ganpaint.io, Nvidia playground…). L’immagine che segue raccoglie alcuni dei risultati.

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La città in gioco: riappropriarsi e rigenerare gli spazi urbanie con Mattia Thibault
Ricercatore postdottorale presso l’Università di Tampere e membro del Gamification Group. Ha un dottorato in Semiotica e Media, ottenuto presso l’Università di Torino e nel 2018 ha vinto una Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship con il progetto “ReClaim – Urban Gamification for City Reappropriations” dedicato alle strategie ludiche per la riappropriazione degli spazi urbani.

Il gioco è bello quando dura poco? Tutt’altro!
L’esperienza umana è intrinsecamente ludica, e attraverso il gioco tutti quanti non solo impariamo a maneggiare il mondo, ma anche siamo capaci di cambiargli significato.
Nel vasto campo del ludico si staglia la nuova branca della gamification. Con questa si definiscono tutte quelle strategie che inseriscono pratiche o meccanismi tipici del gioco all’interno di processi che prima gli erano estranei. “Gamificare” può essere quindi utile non solo per fidelizzare un certo target verso un certo brand, ma anche, ad esempio, per trovare modi creativi per superare il lockdown o risemantizzare il contesto pandemico.
La città poi, da un punto di vista ludologico, si trasforma in una grande plancia di gioco, le cui limitazioni possono essere riscritte dalle persone che la abitano nell’ottica di una rigenerazione urbana che è anzitutto la fondazione di nuove e consapevoli comunità.
Questi affascinanti temi sono stati esplorati attraverso una modalità interattiva. L’intero uditorio si è trovato a collaborare producendo, in diretta e, è proprio il caso di dirlo, giocando, le mappe qui sotto, che hanno fornito le direttrici su cui si è articolato l’incontro.

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L’amministrazione del territorio e delle comunità locali: storie vicine e lontane di resilienza con Giorgio Ferraris
Giorgio Ferraris, maestro elementare in pensione, nato a Ormea 68 anni fa. Padre di Katia e Sonia e nonno di Emma e Stefano. Sindaco di Ormea dal 1985 al 2004 e attualmente in carica dal 2014. Consigliere della Provincia di Cuneo dal 1985 al 2005 e della Regione Piemonte dal 2005 al 2010. Autore di alcuni libri e pubblicazioni di storia locale e sulle vicende degli Alpini in Russia nella Seconda Guerra Mondiale.

L’immagine idilliaca dei piccoli comuni montani non rende onore agli sforzi amministrativi, civici e personali che sovrintendono al loro mantenimento. Si tratta in effetti di luoghi la cui gestione è problematica per svariate ragioni, anzitutto legate alla loro complessità geomorfologica.
Fra le questioni più cogenti in questo senso vi è senz’altro la depopolazione costante e apparentemente inarrestabile, che spesso si traduce in abbandono non solo dei boschi, ma anche in un’incuria graduale di questi ultimi, che può innescare effetti drastici nel caso di eventi avversi.
La ricchezza paesaggistica, naturalistica, storico-culturale, e in termini di biodiversità dei comuni montani e del loro territorio è direttamente proporzionale alla responsabilità che essi richiedono per essere curati.
Si tratta di beni comuni messi in crisi da fenomeni spesso inediti, e che convocano non solo la resilienza dei cittadini e del territorio stesso (una risorsa questa preziosa, ma non inesauribile), ma anche la necessità di progettare politiche socioeconomiche lungimiranti che sperimentino nuovi e flessibili modelli di sostenibilità.

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An Alternative Modernity Established by the Hygienic and Medical Discourses in China: a negotiation between Western Science and Eastern Tradition con Jia Peng
Docente alla Scuola di Giornalismo & Comunicazione, Università di Jinan, Cina. I suoi campi di ricerca sono la semiotica e la critica d’arte. Ha pubblicato due monografie e più di cinquanta articoli accademici, e ha tradotto e pubblicato tre libri sulla semiotica.

Il sistema culturale cinese costituisce un complesso e stratificato insieme di pratiche, che spesso si espletano in una tensione fra tradizione millenaria e impulso contemporaneo alla modernità.
Ciò vale anche per quello che concerne la cultura della salute, della sanità, della medicina, del benessere.
Questi temi, nell’odierno mondo globalizzato, e per di più nell’era della pandemia, divengono particolarmente rilevanti poiché configurano una visione diversa della malattia e della cura rispetto a quella occidentale. Tale diversità esiste, eppure una riflessione più approfondita permette anche di vedere i punti di contatto fra le due “semiosfere”.
Con Jia Peng si è riflettuto su tutto ciò, a partire da un’analisi delle politiche di gestione da parte del dottor Wu Lien-teh dell’epidemia in Manciuria del 1910. Si tratta di un episodio lontano nel tempo e nello spazio, in Occidente poco conosciuto, e che pure ha consentito l’instaurarsi di uno spontaneo dibattito che ci ha portato fino ai giorni nostri a considerare in che modo eventi di crisi sistemici ci convochino chiedendoci alle volte di mutare interi paradigmi, di riconsiderare il nostro vissuto, e anche di provare ad adottare una lettura condivisa del problema con culture lontane dalla nostra.

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Pedagogie della guarigione e filosofia della salute per le comunità resilienti con Gabriele Vissio
Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Dopo un dottorato conseguito presso il Consorzio di Dottorato in Filosofia del Nord-Ovest (FI.NO) e l’Université Paris 1 -Panthéon-Sorbonne su temi di filosofia della medicina, ha lavorato in diversi progetti di ricerca. In particolare, è attualmente impegnato in progetti di ricerca e sviluppo sociale, tra cui il progetto SALINTER – La salute come immaginario sociale e religioso, realizzato grazie a un contributo di Fondazione CRT e Fondazione CRC.

In epoca di pandemia è più che mai essenziale riflettere su alcune nozioni che regolamentano non solo il nostro privato, ma anche i modi di funzionamento di organismi complessi come le comunità e le macropolitiche di governo di intere società.
Salute, benessere, cura, terapia.
Attorno a questi temi si è concentrato il secondo appuntamento di Saturday Morning Live, da cui è scaturita la mappa di temi che qui sono riassunti per parole chiave.
Queste descrivono la necessità dello sviluppo di un’idea di salute come bene comune, che prevede per essere custodito e preservato il lavoro compartecipato di diversi attori sociali, discipline, e una prospettiva condivisa di tipo comunitario.

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Specismi e antispecismi. Prove di resilienza tra animali umani e non umani con Dario Martinelli
Professore Ordinario di Storia e Teoria delle Arti presso la Kaunas University of Technology, e Associato presso le Università di Helsinki e della Lapponia. Dirige inoltre la collana “Numanities – Arts and Humanities in Progress” per Springer. Ad oggi ha pubblicato tredici monografie e circa 150 tra curatele, studi ed articoli.

Il dibattito fra specismo e antispecismo chiama in causa una congerie di problematiche che interrogano tanto i nostri più comuni comportamenti quotidiani quanto i più profondi orizzonti etici che orientano le nostre vite.
Mettere ordine in questo intricato contesto, cogente più che mai in un ciclo di incontri che analizza il presente sotto la lente del concetto di resilienza, significa anzitutto provare a rimettere in discussione alcuni paradigmi dominanti nella nostra cultura.
La mappa presentata è il risultato di un brainstorming effettuato con un focus group composto da studenti interuniversitari, a partire dalle suddette premesse.
I risultati restituiscono un quadro necessariamente parziale ma rilevante, sia dei temi spontaneamente emersi nel corso del dibattito iniziale, sia delle domande che ne sono derivate nella fase di discussione con il relatore e di successivo debrief.
Tali domande, qui riassunte per macrocategorie, buzzword, e opposizioni dicotomiche, sono giocoforza destinate a rimanere aperte, e costituiscono la disseminazione per un terreno fertile di interrogativi, utile a porre in essere una riflessione estesa sul nostro rapporto, sulle politiche relazionali e sulle loro conseguenze, con gli animali non umani, e più estensivamente con chi è altro da noi.

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